E’ di questi giorni la notizia
che arriverà in Consiglio dei Ministri il provvedimento del governo di
attuazione della legge delega approvata dal Parlamento nel 2012 sulla
parificazione tra figli legittimi e figli nati
fuori dal matrimonio. Provvedimenti, da molti ed
anche da noi, salutati come positivi e doverosi. Ci sembra, ulteriormente,
opportuno riflettere come il legislatore si sia occupato di tutelare gli
interessi dei figli nati fuori dal matrimonio parificandoli a quelli legittimi
senza porsi il problema che questi figli in costanza di un contesto
matrimoniale (concepiti durante il rapporto matrimoniale), sono la conseguenza
di una rottura dell’obbligo reciproco di fedeltà previsto per i coniugi
dall’articolo 143 del codice civile. Chiediamo e ci chiediamo: la
rottura dell’obbligo di fedeltà non dovrebbe trovare una adeguata cornice
giuridica a tutela degli interessi morali e materiali degli altri componenti
della famiglia? Se è opportuno e meritevole
tutelare le conseguenze degli atti di un coniuge (i figli non possono essere
responsabili dei comportamenti dei genitori) non è altrettanto opportuno e
necessario tutelare gli altri membri della famiglia da azioni concretamente
tese a violare gli impegni liberamente presi dal coniuge stesso? Il venir meno alla parola
data, il cosciente, consapevole, meditato e premeditato minare un progetto di
vita solennemente, liberamente, in privato e in pubblico sottoscritto non desta
allarme sociale tanto quanto la necessità di tutelare gli effetti di questi
comportamenti? Evidentemente il legislatore
non solo non ritiene l’esplicita e consapevole violazione dell’obbligo di
fedeltà un crimine (al massimo giustifica la richiesta, di parte, di divorzio
dell’altro coniuge) ma ritiene il soggetto che si è reso responsabile ancora
meritevole di educare mantenendo intatti i suoi diritti di potestà genitoriale,
come se l’esempio dato con i propri comportamenti fosse, nei confronti della
società, del coniuge tradito, della prole, meritevole ed approvabile o, in ogni
caso, irrilevante ai fini educativi. Crimine sembra una parola
forte? Cosa dire allora delle
situazioni in cui un coniuge contrae malattie, anche mortali, durante rapporti
sessuali extraconiugali e le trasmette, consapevolmente o inconsapevolmente, al coniuge ignaro? Non dovrebbero esserci gli
estremi del tentato omicidio? L’aspetto della fedeltà non
è l’unico punto di rottura, nel contesto segnalato, del contrattto
matrimoniale. Vi è anche quello
dell’obbligo di “collaborazione nell’interesse della famiglia” sempre riportato
dall’articolo 143 del c.c. Un momento importante della
nostra legislazione perché conferisce ai concreti comportamenti dei coniugi una
rilevanza non solo reciproca ma anche nei confronti di terzi (gli appartenenti
alla famiglia). Le relazioni extraconiugali
sono improntate ad un rafforzamento “dell’interesse della famiglia” o ad un suo
indebolimento? Se riteniamo, per scelta per
scienza o coscienza che possano costituire un indebolimento non possiamo non
chiedere al legislatore di attivarsi a tutela dell’istituto matrimoniale. Se riteniamo, per scelta per
scienza o coscienza che possano costituire un rafforzamento non possiamo non
chiederci che modello di società stiamo costruendo? Fino a che punto la
disarticolazione dei rapporti matrimoniali e familiari, come li conosciamo e li
abbiamo codificati, sia un momento di libertà e non un limite alla crescita
individuale e collettiva della nostra società. Dopo la legislazione sul
genere (cittadinanza di genere, preferenze elettorali alternate per genere,
violenza di genere) che ci vorrebbero privare della naturale suddivisione dei
sessi, ci sembra che dietro alla legislazione sulla parificazione dei figli si
nasconda la volontà di rendere la compromissione del contesto matrimoniale, in
questo caso in relazione all’aspetto della fedeltà e della collaborazione
nell’interesse della famiglia, come normale, accettabile ed accettato. Luigi Milanesi